Questo breve saggio è un estratto da un lavoro di tesi magistrale dal titolo Potevo arrivare al mare anche senza di loro. Ethos e campo letterario negli esuli di Fiume: vi si delinea un campo letterario fiumano autonomizzato dalle dinamiche di potere che colpirono la città a partire dalla conclusione della Prima guerra mondiale. Gli autori analizzati – Viktor Garády, Géza Kenedi e Lőrinc Szabó per la parte ungherese, Enrico Morovich e Paolo Santarcangeli per quella italiana – sono accomunati dalla nazionalità magiara e dall’interiorizzazione di un ethos fiumano di libertà che permette loro di produrre una letteratura desiderosa di restituire un’immagine della città intima e naturale, lontana dalle leggi della violenza simbolica e dei campi del potere. Sono sviluppate le considerazioni di critica letteraria integrandole con dei riferimenti alla storiografia istro-dalmata e alla sociologia di Pierre Bourdieu. Dopo una riflessione sulla problematica definizione di “letteratura dell’esodo” si giunge a definire le premesse del campo letterario fiumano come spazio sociale risultato della città come corpus separatum insensibile alle dinamiche della violenza simbolica tipica di una società sottomessa al potere. Questo saggio vuole riproporre alcune riflessioni sull’opera di Viktor Garády, mettendo a disposizione la traduzione inedita di alcuni frammenti delle sue raccolte nell’ottica di una letteratura ungaro-fiumana distante dalla famosa “fiumanità di passaggio” tanto cara ad altri autori ungheresi, ascrivendo l’opera di Garády a una sorta di “surrealismo fiumano” di cui l’italiano Enrico Morovich può essere un altro rappresentante.

Viktor Garády, ungherese di Fiume

Dal Bello, Nicolò
2023-01-01

Abstract

Questo breve saggio è un estratto da un lavoro di tesi magistrale dal titolo Potevo arrivare al mare anche senza di loro. Ethos e campo letterario negli esuli di Fiume: vi si delinea un campo letterario fiumano autonomizzato dalle dinamiche di potere che colpirono la città a partire dalla conclusione della Prima guerra mondiale. Gli autori analizzati – Viktor Garády, Géza Kenedi e Lőrinc Szabó per la parte ungherese, Enrico Morovich e Paolo Santarcangeli per quella italiana – sono accomunati dalla nazionalità magiara e dall’interiorizzazione di un ethos fiumano di libertà che permette loro di produrre una letteratura desiderosa di restituire un’immagine della città intima e naturale, lontana dalle leggi della violenza simbolica e dei campi del potere. Sono sviluppate le considerazioni di critica letteraria integrandole con dei riferimenti alla storiografia istro-dalmata e alla sociologia di Pierre Bourdieu. Dopo una riflessione sulla problematica definizione di “letteratura dell’esodo” si giunge a definire le premesse del campo letterario fiumano come spazio sociale risultato della città come corpus separatum insensibile alle dinamiche della violenza simbolica tipica di una società sottomessa al potere. Questo saggio vuole riproporre alcune riflessioni sull’opera di Viktor Garády, mettendo a disposizione la traduzione inedita di alcuni frammenti delle sue raccolte nell’ottica di una letteratura ungaro-fiumana distante dalla famosa “fiumanità di passaggio” tanto cara ad altri autori ungheresi, ascrivendo l’opera di Garády a una sorta di “surrealismo fiumano” di cui l’italiano Enrico Morovich può essere un altro rappresentante.
2023
Fiume, corpus separatum, Viktor Garády, Mito, Surrealismo
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.12071/46788
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