Il saggio indaga la fortuna quattro-cinquecentesca dei versi «Ille ego qui quondam…» che, secondo una notizia trasmessa dagli antichi biografi virgiliani, sarebbero stati espunti dalla redazione originaria del proemio dell’Eneide. I versi, trasmessi da Elio Donato e Servio, sono da ritenersi spuri e compaiono saltuariamente nei manoscritti del poema a partire dal IX secolo, ma è tra Quattro e Cinquecento che la loro circolazione diviene più frequente, ricevendo un impulso determinante con le edizioni a stampa. Nella prima parte, quindi, si propongono i risultati di una ricerca condotta su un campione di 75 edizioni dell’Eneide stampate tra il 1469 e il 1550, finalizzata non solo a registrare la presenza di «Ille ego…» (che interessa il totale delle edizioni, con due sole eccezioni tra gli incunaboli), ma anche a chiarirne lo statuto, in bilico tra paratesto liminare e vero e proprio testo incipitario: pertanto le edizioni sono classificate secondo le modalità di mise en page dei versi, rilevando l’apposizione di eventuali note esegetiche nelle edizioni commentate. Nella seconda parte mi soffermo proprio sull’instaurarsi di questa nuova tradizione esegetica con le esposizioni stampate nelle edizioni virgiliane a partire da inizio Cinquecento (Agostino Dati, Pierio Valeriano, Badio Ascensio) che, rispetto ai principali commenti antichi e medievali, corredano i versi dell’incipit spurio di glosse puntuali, discutendone la funzione all’interno del proemio secondo le dottrine poetiche e retoriche classiche e interrogandosi sull’opportunità della loro reintegrazione nella sede incipitaria. Gli argomenti addotti anticipano alcune delle tesi proposte dai filologi novecenteschi e toccano questioni di rilievo in merito alle convenzioni del genere epico. Si esamina quindi il consolidamento di questa tradizione esegetica nelle edizioni commentate successive, fino a fine secolo, in cui si moltiplicano le attestazioni di «Ille ego…» come unico incipit dell’Eneide e, parallelamente, si introduce la discussione relativa alla loro autenticità. Infine, si tenta di ipotizzare le motivazioni che determinarono il recupero dei versi e produssero tale fioritura di discussioni e commenti.
La fortuna cinquecentesca dei versi Ille ego … del proemio dell’Eneide: modalità di edizione e tradizione esegetica
Catapano, Paolina
2024-01-01
Abstract
Il saggio indaga la fortuna quattro-cinquecentesca dei versi «Ille ego qui quondam…» che, secondo una notizia trasmessa dagli antichi biografi virgiliani, sarebbero stati espunti dalla redazione originaria del proemio dell’Eneide. I versi, trasmessi da Elio Donato e Servio, sono da ritenersi spuri e compaiono saltuariamente nei manoscritti del poema a partire dal IX secolo, ma è tra Quattro e Cinquecento che la loro circolazione diviene più frequente, ricevendo un impulso determinante con le edizioni a stampa. Nella prima parte, quindi, si propongono i risultati di una ricerca condotta su un campione di 75 edizioni dell’Eneide stampate tra il 1469 e il 1550, finalizzata non solo a registrare la presenza di «Ille ego…» (che interessa il totale delle edizioni, con due sole eccezioni tra gli incunaboli), ma anche a chiarirne lo statuto, in bilico tra paratesto liminare e vero e proprio testo incipitario: pertanto le edizioni sono classificate secondo le modalità di mise en page dei versi, rilevando l’apposizione di eventuali note esegetiche nelle edizioni commentate. Nella seconda parte mi soffermo proprio sull’instaurarsi di questa nuova tradizione esegetica con le esposizioni stampate nelle edizioni virgiliane a partire da inizio Cinquecento (Agostino Dati, Pierio Valeriano, Badio Ascensio) che, rispetto ai principali commenti antichi e medievali, corredano i versi dell’incipit spurio di glosse puntuali, discutendone la funzione all’interno del proemio secondo le dottrine poetiche e retoriche classiche e interrogandosi sull’opportunità della loro reintegrazione nella sede incipitaria. Gli argomenti addotti anticipano alcune delle tesi proposte dai filologi novecenteschi e toccano questioni di rilievo in merito alle convenzioni del genere epico. Si esamina quindi il consolidamento di questa tradizione esegetica nelle edizioni commentate successive, fino a fine secolo, in cui si moltiplicano le attestazioni di «Ille ego…» come unico incipit dell’Eneide e, parallelamente, si introduce la discussione relativa alla loro autenticità. Infine, si tenta di ipotizzare le motivazioni che determinarono il recupero dei versi e produssero tale fioritura di discussioni e commenti.File | Dimensione | Formato | |
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