Per chi studia l’arte italiana del Novecento e desidera verificare se e quali continuità possano esservi state tra prima e seconda metà del secolo, la figura di Persico, ad oggi scarsamente decifrata, è un passaggio obbligato. È vero: talvolta risuona il luogo comune secondo cui le tracce dell’attività di Persico, in ambito figurativo, sarebbero state «brevi» e «lievi». Ma è appunto questo luogo comune che si intende qui sfidare, segnalando istanze, prospettive o «ideologie» che Persico sviluppa già nel decennio di formazione e che sono poi destinate a orientare in modo molteplice, sul «lungo periodo», l’attività di questo o quell’artista a lui legato da vincoli intellettuali e affettivi (da Garbari a Fontana a Birolli, per esemplificare; senza dimenticare Rosai). Occorre riferirsi in primo luogo al tema dell’«arte sacra», che Persico invita, sulle tracce di Maritain, suo filosofo-teologo guida, a rinnovare in profondità, disertando iconografie, tecniche e generi tradizionali; e all’incoraggiamento del dialogo tra arte e architettura, che Persico stesso, a partire dal 1934, persegue su piani anche pratici contribuendo in misura decisiva alla progettazione di «ambienti». Occorre riferirsi soprattutto a una circostanza almeno in parte meta- o extra-stilistica, tuttavia dirimente, che regola in Persico i rapporti tra arte italiana e arte europea, tra «tradizione» e modernità. In sintesi: alla luce di principi e convinzioni radicate, a cavallo tra anni Venti e Trenta Persico matura un modello di modernità (o meglio di modernismo) italiano altamente differenziato e specifico, per così dire sincretico, attraverso cui si prefigge di tenere assieme aperture cosmopolite e memoria della madrelingua tre-quattrocentesca; «europeismo» e «nazione». Tale modello, implicitamente non collaborazionista e anticoncordatario sotto profili politici, appare già abbozzato nei primi testi «torinesi» dedicati alle arti figurative e trova esplicita formulazione nel 1930, con l’appello alla «rivolta cattolica». Ha un duplice senso polemico: è rivolto sia contro Strapaese che contro Stracittà o le frange più ufficiali del Novecento.

«Precisione di un’ideologia».Edoardo Persico tra Venti e Trenta: arte, critica, architettura

Michele Dantini
2019-01-01

Abstract

Per chi studia l’arte italiana del Novecento e desidera verificare se e quali continuità possano esservi state tra prima e seconda metà del secolo, la figura di Persico, ad oggi scarsamente decifrata, è un passaggio obbligato. È vero: talvolta risuona il luogo comune secondo cui le tracce dell’attività di Persico, in ambito figurativo, sarebbero state «brevi» e «lievi». Ma è appunto questo luogo comune che si intende qui sfidare, segnalando istanze, prospettive o «ideologie» che Persico sviluppa già nel decennio di formazione e che sono poi destinate a orientare in modo molteplice, sul «lungo periodo», l’attività di questo o quell’artista a lui legato da vincoli intellettuali e affettivi (da Garbari a Fontana a Birolli, per esemplificare; senza dimenticare Rosai). Occorre riferirsi in primo luogo al tema dell’«arte sacra», che Persico invita, sulle tracce di Maritain, suo filosofo-teologo guida, a rinnovare in profondità, disertando iconografie, tecniche e generi tradizionali; e all’incoraggiamento del dialogo tra arte e architettura, che Persico stesso, a partire dal 1934, persegue su piani anche pratici contribuendo in misura decisiva alla progettazione di «ambienti». Occorre riferirsi soprattutto a una circostanza almeno in parte meta- o extra-stilistica, tuttavia dirimente, che regola in Persico i rapporti tra arte italiana e arte europea, tra «tradizione» e modernità. In sintesi: alla luce di principi e convinzioni radicate, a cavallo tra anni Venti e Trenta Persico matura un modello di modernità (o meglio di modernismo) italiano altamente differenziato e specifico, per così dire sincretico, attraverso cui si prefigge di tenere assieme aperture cosmopolite e memoria della madrelingua tre-quattrocentesca; «europeismo» e «nazione». Tale modello, implicitamente non collaborazionista e anticoncordatario sotto profili politici, appare già abbozzato nei primi testi «torinesi» dedicati alle arti figurative e trova esplicita formulazione nel 1930, con l’appello alla «rivolta cattolica». Ha un duplice senso polemico: è rivolto sia contro Strapaese che contro Stracittà o le frange più ufficiali del Novecento.
2019
Edoardo Persico; razionalismo; arte sacra; europeismo; cattolicesimo
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.12071/12532
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